13 ottobre 2007

Senza passaggio


Marc Augé rileva come i riti che in tutte le società “tradizionali” a noi note hanno la funzione di demarcare i momenti di frontiera, in particolare quelli tra l’infanzia e l’adolescenza o tra l’adolescenza e l’età adulta, abbiano perso al giorno d’oggi il loro valore e di conseguenza i riti d’iniziazione, che dei riti di passaggio fanno parte, siano meno importanti. Ad esempio i giovani restano molto a lungo nella cerchia familiare e l’età in cui lasciano il proprio nucleo di origine non è più molto ben definibile: una frontiera molto più sfumata rispetto ad alcune generazioni fa in cui è evidente l’eccessivo prolungamento della fase liminare. Lo stesso è accaduto con la scomparsa di riti più formalizzati e di spiccato carattere sociale, basti pensare al servizio militare che ha rappresentato un grande rito di passaggio tra la giovinezza e l’età adulta: scomparso in molti paesi d’Europa o sostituito dal servizio civile o da un servizio più breve, non ha più la nettezza di una demarcazione di frontiera. La giovinezza ha perso in parte i suoi ambiti specifici, i tempi enormemente dilatati hanno reso la sua “marginalità” molto simile all’“emarginazione”, sovente, infatti, la qualifica di "giovane" è assimilata ad altre categorie della popolazione: borderline e immigrati. Spesso, come afferma Augé: “Si trova la giovinezza solo là dove la si può identificare, e la si identifica in un certo luogo estraneo o particolare” enfatizzandone solo l’aspetto dell’inquietudine e avvicinandola ad altri fenomeni: la violenza, i piccoli gruppi di giovani che formano circoli chiusi, le attività esotiche del fine settimana, e via dicendo. La comparsa di riti che caratterizzano l’accesso a ristrette categorie di individui, si pensi alle gang giovanili americane o brasiliane, le sette sataniste, o gli episodi spesso venuti alla cronaca del “bullismo” nelle scuole, del “nonnismo” nelle organizzazioni militari, o i più miti rituali di accesso aziendali che nella loro versione più esasperata confluiscono spesso in episodi di mobbing, mostrano che esiste una forma di nostalgia del sistema iniziatico tradizionale, ma nello stesso tempo rivelano una perdita sul versante simbolico, una non corrispondenza tra il potere simbolico attribuito dall’atto di ingresso imposto dal rito e l’ effettivo potere derivante. Vissuto come un gioco degradante il rito perde tutto il suo valore di integrazione sociale ponendosi agli antipodi rispetto ai valori delle società moderne.

2 Comments:

At 10/11/07 21:31, Blogger Unknown said...

Ritrovo scritto nel mio diario:
"25/5/89 - Riti funebri a Sumatra. Però a me piace questo ventesimo secolo occidentale, senza una cultura, senza un'identità definita. Mi sento più libero, e forse lo sono davvero. Certo, è assai suggestivo vedere le altrui pantomime, e posso dire di aver gradito il documentario, ma non provo nessuna invidia per loro, non vorrei essere io ad avere i momenti della mia vita scanditi ad un ritmo precostituito legato ai secoli passati. No, non vorrei affatto essere nato a Sumatra, o dovunque il passato mi determinasse completamente."

Altro sospetto. Non è che le forme degradate odierne di rituali d'accesso dimostrano che alla base del rituale c'è un rapporto di dominanza-sottomissione? E se ce ne liberassimo? O è troppo presto per una umanità evidentemente ancora vincolata a questo tipo di rapporti? Ma ce ne libereremo mai, senza provarci?
Infine: non trovi odiosa la forma retorica di fare affermazioni in forma di domanda? ;-)

 
At 2/1/08 13:51, Anonymous Anonimo said...

Ottimo post

 

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