03 settembre 2007

Drastici rimedi omeopatici

I riti basati sul sezionamento della vittima sacrificale in due metà e sulla deambulazione omeopatica attraverso di esse, diffusi in tutte le latitudini ed in tutti i tempi e spesso in connessione con ambiti spaziali fortemente caratterizzanti quali sono i ponti, le soglie e le porte, possono essere interpretati anche come di riti di purificazione e di alleanza e, cosa normalissima nelle complessità concettuale della mentalità arcaica, non va mai trascurata la possibilità che diversi significati si sovrappongano creando complesse architetture simboliche. E’ a questa tipologia di riti destinati a propiziare l’aggregazione e la riaggregazione di gruppi sociali che può essere ascritto il sacrificio del cavallo che si svolgeva a Roma durante la festa dell’October Equus: l’antica ostilità tra le due comunità dei sacravienses e dei suburani, una volta appartenenti a villaggi diversi, veniva ogni anno commemorata ed esorcizzata attraverso la contesa delle parti dell’animale, mentre la loro ricongiunzione presso la Regia costituiva il rimedio omeopatico che sanciva e rinsaldava la coesione sociale. Ad un drastico rimedio omeopatico ricorse anche Giulio Cesare nel 46 a. C. quando si trovò ad affrontare un inaspettato ammutinamento delle truppe acquartierate nella stessa Roma, racconta Dione Cassio che, dopo aver fatto giustiziare uno dei ribelli: “altri due uomini furono sgozzati secondo un particolare rituale religioso. Non sono in grado di fornire i motivi di questa procedura, non prescritta né dai Libri Sibillini, né da nessun oracolo di questo tipo. È sicuro però che furono sacrificati nel Campo Marzio dai pontefici e dal sacerdote di Marte e che le loro teste furono portate e messe nella Regia”. Non si hanno elementi maggiori per poter affermare che all’uccisione seguì una cerimonia di deambulazione tra le teste degli uomini sacrificati, ma il fatto che teatro del sacrificio siano stati la Regia e il Campo Marzio, gli stessi luoghi dell’October Equus, può far supporre un rituale simile: il pericolo di una scissione aveva costretto la comunità a ricorrere al sacrificio umano e all’atto simbolico di salvaguardare la coesione interna attraverso il rituale del passaggio attraverso un corpo tagliato.

2 Comments:

At 4/9/07 22:07, Anonymous Anonimo said...

Mi picchiettai le tempie con la punta delle dita come quando si sente una fitta o un dolore, spinsi indietro la testa e domandai, rivolto al prete: “S’incontrano delle soglie nella tradizione religiosa?” – “In quanto cosa o immagine?” – “Tutt’e due”.
Mentre il prete ci pensava su, gli altri si misero a dire quel che veniva loro in mente.
Il padrone di casa: “Il nostro gatto non passa mai una soglia senza fare attenzione. Tutte le volte si ferma e annusa per bene in terra. A volte evita persino di toccarla e salta. È solo quando scappa, mettiamo davanti a un cane, che non esita più davanti alla soglia: allora conta soltanto l’interno della casa. In cambio, però, è l’inseguitore che esita”. […]
Il pittore: “C’erano dei popoli antichi a tal punto nemici che l’uno, dopo aver sottomesso l’altro, riduceva in pezzetti le statue dei suoi templi per poi pavimentare le soglie delle proprie case. In certe civiltà si trovano disegni davanti alle soglie, a forma di labirinto; si dice che questi disegni dovevano meno respingere che far fermare e suggerire una deviazione…”. […]
Il prete si era intanto concentrato e disse: “Per quanto ne so, la soglia come cosa compare di rado nella tradizione. In un punto il profeta parla di uno scotimento che fece tremare persino la soglia di pietra. Come immagine, invece, si ripresenta frequentemente, anche se con un’altra parola. Negli indici analitici, accanto alla parola “soglia” si trova per lo più una freccia con l’indicazione: vedi porta. La soglia e la porta (o il portale) sono la parte per il tutto. Questo tutto, nell’Antico Testamento, è la città: talvolta semplicemente quella terrena – Piangi porta! Grida, città! – talaltra quella celeste: “Il Signore ama più le porte di Sion che tutte la tende di Giacobbe”; nel Nuovo Testamento talvolta c’è la dannazione – le porte dell’Inferno – talaltra la redenzione: “Io sono la porta. Chi entra per me, sarà salvo”. Di conseguenza, nella coscienza comune le soglie significano: passaggio da un ambito all’altro. E forse non siamo tanto consapevoli che la soglia è anche un ambito a sé, o meglio un luogo particolare, di prova o di protezione. […]. Per la scienza odierna, però, non esistono più soglie in questo senso. L’unica soglia che ancora ci resta, dice uno dei maestri del pensiero moderno, è quella tra la veglia e il sogno, e anch’essa è a malapena percepibile. […]. Soglia non significa affatto: confini – questi non farebbero che estendersi sia dall’esterno che dall’interno – ma zona. Nella parola “soglia” c’è mutamento, marea, guado, valico, recinto (inteso come rifugio). “La soglia è la sorgente”, secondo un detto ormai quasi scomparso. E quel maestro del pensiero dice testualmente: “Era dalle soglie che gli amanti e gli amici attingevano le loro forze. – Ma (prosegue) dove ritrovare al giorno d’oggi le soglie eliminate se non in se stessi? Veniamo guariti dalle nostre proprie ferite. Se dalle nuvole non nevica più, continuerà in me a nevicare”. Ogni passo, ogni sguardo, ogni gesto dovrebbe divenire cosciente di sé come una soglia possibile e ricreare in tal modo ciò che è perduto. […] - Le soglie come luoghi di forza non sembrerebbero dunque scomparse ma divenute, per così dire, portatili sotto forma di forze interiori. Coscienti di queste soglie, ciascuno lascerebbe l’altro morire almeno di morte naturale. La coscienza delle soglie sarebbe perciò la religione naturale. Altro non ci sarebbe da promettere”. […]
Ora, anche a quelli che ascoltavano tornò il ricordo delle cose da tanto tempo disperse nella memoria. L’uno riprese la parola dall’altro, sicché venne a crearsi un racconto a più voci. […]
“Le donne erano solite mettere una sedia sulla soglia e star lì a lavorare a maglia. Dalla soglia io contemplavo spesso i temporali e mi lasciavo sfiorare dalle gocce o da qualche chicco di grandine. […]. A Pasqua, con le grandi pulizie di casa, si lavavano per bene anche le soglie: fumavano di vapore caldo, si mostravano nel loro aspetto originario e sapevano di buono. A Pentecoste le soglie prendevano un’aria di festa, con gli alberelli di betulla ai lati. La soglia della stanza dei genitori mi sembrava particolarmente alta. […]. In caso di terremoto, dicevano in paese, non si doveva correr fuori, ma mettersi sulla soglia, sotto l’architrave della porta: là si era al sicuro. Anche “sradicare” per me rientra nella “soglia”; perché in casa il legno della soglia era quello che bisognava sostituire più spesso; ed era anche lì che il fungo del legname attecchiva per primo. Le soglie assumono la loro evidenza solo in campagna; in città le si dimentica. […]. “La soglia è il mio luogo”, pensavo restandoci sopra fermo. […]. Qual è il contrario di paura delle soglie? – Felicità d’indugiare ai margini”.
Ci si rivolse a colui che aveva tirato in ballo la questione, chiedendo se avesse voluto “testare” la compagnia. E la sua risposta fu: no, non testare, ma portare a raccontare. “Ho infatti notato che non c’è niente di meglio, per portare gli altri a raccontare, che porre la questione della soglia”.

(Peter Handke, Il cinese del dolore, pp. 77-83)

 
At 10/11/07 22:03, Blogger Unknown said...

"cosa normalissima nelle complessità concettuale della mentalità arcaica, non va mai trascurata la possibilità che diversi significati si sovrappongano creando complesse architetture simboliche."
Ma non è che i significati si sovrappongono perché non si è fatta distinzione fra di loro?
Ci sono due tipi di difetto visivo: se si guarda in generale si perdono i particolari e si vede confuso, ma se allora si fissa lo sguardo sui particolari, ecco che sfuma tutto intorno.
Così, in un mondo troppo mutevole e complicato per essere compreso ("tenuto dentro"), come il mondo degli antichi, i diversi fenomeni sembrano accatastarsi, rimanere tanto vicini; in pratica, sovrapporsi.
Allora si cerca di definire ("con proposizioni chiare e distinte") i concetti, le idee; basta considerare tutto quello che è stato sproloquiato dai professori di filosofia, nel loro tentativo di fare i filosofi, per capire come in un particolare osservato si possa scatenare un universo intero, o la parte di esso che si preferisce. E così chi cerca di conoscere qualcosa che rischia di essere, [anche solo per la loro quantità], inconoscibile (sì, lo so: ho usato un plurale riferendomi a un singolare. È una di quelle cose che sfuggono al definibile per attingere all'essenza), vede il singolo oggetto trasformarsi in una molteplicità di rimandi.
È la ragione per cui molti fisici quantistici si danno allo zen, credo.

 

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