20 agosto 2007

Parmenide


L'asse nei mozzi, incandescente, mandava lo stridore di un sibilo… allorché le fanciulle affrettavano la loro guida, lasciando la dimora della Notte, verso la luce, con le mani scostandosi il velo dal capo.
Ivi è la porta che apre i sentieri della Notte e del Giorno, incorniciata da un architrave e da una soglia di pietra. La porta stessa, poi, è occupata da enormi battenti: di essi la Dea che molto punisce tiene le chiavi alterne. Essa persuasero le fanciulle, con accortezza e il consiglio; di dolci parole, a togliere dalla porta velocemente il paletto del chiavistello. Spalancata allora la porta produsse una vasta apertura dei battenti, facendo girare a vicenda i perni di bronzo nel cavo dei cardini, fissati con viti e fermagli. Traversando dunque la porta in quel punto, guidarono le fanciulle cocchio e cavalle diritto per la strada maestra. Mi accolse la Dea con mente benevola, la mano destra mi prese con la sua destra, e così mi rivolse parole dicendo: «O fanciullo, compagno di aurighi immortali, che giungi alla nostra casa condotto dalle cavalle, salute! Perché non certo una Moira malvagia ti spinge a percorrere questa via (è infatti lontana dalla via battuta dagli uomini) ma Temis e Dike. È necessario perciò che tu apprenda ogni cosa, tanto l’immobile cuore della verità perfettamente rotonda quanto le opinioni dei mortali, cui non si può concedere vera fiducia. Ma nondimeno imparerai anche queste, poiché facendo esperienza completa di tutte le cose è necessario che le apparenze siano vagliate.»
(Parmenide, Frammenti, trad. it. F. Trabattoni, Parmenide. I frammenti, Marcos y Marcos, Mi 1991)