Ierofania del varco
Le immagini di apertura o di passaggio in genere, fin dai livelli culturali più arcaici sono state interpretate come possibilità di trascendenza. In Genesi, 28.12-19 a Giacobbe apparve in sogno una scala che portava al cielo, sentì la voce di Dio provenire dall’alto, e svegliatosi esclamò: “Qui è la casa di Dio, qui è la porta dei cieli”, prese quindi la pietra su cui poggiava il capo dormendo e decise di fondare su di essa un luogo sacro chiamato Betel, cioè “Casa di Dio”. L’apparizione del passaggio, rappresentata, in questo caso, dalla scala che conduce al varco che consente la comunicazione con il cielo, con l’Onnipotente, è una delle immagini–simbolo dell’apertura che consente il contatto tra mondi e modi di essere completamente diversi tra di loro.
La fenditura nella roccia, il varco nella montagna, nascosti da vegetazione rigogliosa, che lasciano intravedere l’antro o il cunicolo, rappresentano una delle prime e più potenti ierofanie del “passaggio”. L’interruzione dell’omogeneità dello spazio è, per l’uomo arcaico, densa di significati. Tutti i luoghi che presentano un particolare diverso dall’omogeneità circostante sono luoghi unici: “Spesso non vi è neppure bisogno di una vera e propria teofania o ierofania: un segno qualsiasi è sufficiente a rivelare la sacralità di un luogo”. ( M. Eliade, Il sacro e il profano”, Torino 2006)
Penetrare nel varco, entrare nella caverna, è un atto sacro di conquista/conoscenza di uno spazio “altro”, diverso da quello che l’uomo frequenta, conosce ed utilizza in maniera funzionale alle sue esigenze di sopravvivenza: è l’atto simbolico effettuato in uno spazio simbolico, probabile origine dei successivi usi rituali.
Lo studio di Leroi-Gourhan (A.Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, Milano 1993) sulla disposizione ricorrente dei dipinti all’interno delle caverne mostra che già nel paleolitico esisteva una visione simbolica dello spazio, di cui l’uomo prese possesso gradatamente: 30.000 anni fa – nell’Aurignaziano- le prime raffigurazioni di animali, il c.d. stile I, sono state riscontrate solo su massi all’imbocco delle caverne, le figure dello stile II compaiono nella zona d’ingresso di qualche grotta, i recessi più profondi sono una conquista dello stile IV, da cui inizierà poi l’abbandono della pratica della raffigurazione parietale. La decorazione nelle zone prossime all’ingresso è comunque una costante che accompagna l’arte parietale dai suoi esordi fino alla scomparsa.
La fenditura nella roccia, il varco nella montagna, nascosti da vegetazione rigogliosa, che lasciano intravedere l’antro o il cunicolo, rappresentano una delle prime e più potenti ierofanie del “passaggio”. L’interruzione dell’omogeneità dello spazio è, per l’uomo arcaico, densa di significati. Tutti i luoghi che presentano un particolare diverso dall’omogeneità circostante sono luoghi unici: “Spesso non vi è neppure bisogno di una vera e propria teofania o ierofania: un segno qualsiasi è sufficiente a rivelare la sacralità di un luogo”. ( M. Eliade, Il sacro e il profano”, Torino 2006)
Penetrare nel varco, entrare nella caverna, è un atto sacro di conquista/conoscenza di uno spazio “altro”, diverso da quello che l’uomo frequenta, conosce ed utilizza in maniera funzionale alle sue esigenze di sopravvivenza: è l’atto simbolico effettuato in uno spazio simbolico, probabile origine dei successivi usi rituali.
Lo studio di Leroi-Gourhan (A.Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, Milano 1993) sulla disposizione ricorrente dei dipinti all’interno delle caverne mostra che già nel paleolitico esisteva una visione simbolica dello spazio, di cui l’uomo prese possesso gradatamente: 30.000 anni fa – nell’Aurignaziano- le prime raffigurazioni di animali, il c.d. stile I, sono state riscontrate solo su massi all’imbocco delle caverne, le figure dello stile II compaiono nella zona d’ingresso di qualche grotta, i recessi più profondi sono una conquista dello stile IV, da cui inizierà poi l’abbandono della pratica della raffigurazione parietale. La decorazione nelle zone prossime all’ingresso è comunque una costante che accompagna l’arte parietale dai suoi esordi fino alla scomparsa.
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