L’evento più probabile oltre la soglia è quello di non conoscere e di non essere conosciuti, ma il più pericoloso è quello di non essere ri-conosciuti, il pericolo, cioè, che una volta passati in una nuova realtà si perda lo status precedente, si diventi altro, non più riconoscibile dalla propria comunità. Definizione vaga, ma assolutamente illuminante, quella data dai
Gourmantché di Gobnangou nel
Burkina Faso, e riportata da M. Cartry (
Du village à la brousse ou le retour de la question, in M. Izard, P. Smith, La function simbolique, Paris 1979), per descrivere l’espressione fuali. Il fuali è qualcosa di alieno, di forestiero che ha sede nello spazio, ma non ha collocazione geografica, né fisicità: il fuali “è laggiù, è lontano, sempre lontano”, ma il fatto che sia lontano non vuol dire che non possa raggiungere il villaggio. La radice “fua” da cui “fuali” deriva è opposta in certi contesti alla radice “do”, che provvede da base alla parola villaggio, “dogu”. Il campo semantico coperto dalla radice “fua” include la nozione di uno spazio che ha effetto sul corpo umano in modo specifico. Se si resta per troppo tempo “Fuali-ni”, cioè in terreno selvatico, si rischia di essere “svuotati”, “pressati”, “appiattiti”, “vicini al punto di evaporazione”, si rischia cioè di cambiare, di essere modificati. Il terreno selvatico, amorfo e privo di struttura che è fuori del villaggio rappresenta il non essere assoluto. A contatto con esso si può perdere la propria sostanza “ontica”, si può essere dissolti nel caos.
“Di notte il fuali avanza nel villaggio fino al punto segnato dai recinti delle abitazioni, a volte penetra negli interstizi tra queste[…]. Fuali implica qualcosa di indistinto, l’assenza di contorni differenziati, l’eliminazione dei confini. Così, di notte, ogni spazio al di fuori delle case tende a trasformarsi in terreno selvatico e il modo in cui appare nella viva luce lunare, quando le cose sembrano tornare ad uno stato indistinto è, ugualmente, terreno selvatico”.
1 Comments:
Io so bene che dentro la mia stanza
c'è un amico invisibile,
non si rivela con qualche movimento
né parla per darmi una conferma.
Non c'è bisogno che io gli trovi posto:
è una cortesia più conveniente
l'ospitale intuizione
della sua compagnia.
La sola libertà che si concede
è di essere presente.
Né io né lui violiamo con un suono
l'integrità di questa muta intesa...
(E. Dickinson)
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