Ierofania del varco
La fenditura nella roccia, il varco nella montagna, nascosti da vegetazione rigogliosa, che lasciano intravedere l’antro o il cunicolo, rappresentano una delle prime e più potenti ierofanie del “passaggio”. L’interruzione dell’omogeneità dello spazio è, per l’uomo arcaico, densa di significati. Tutti i luoghi che presentano un particolare diverso dall’omogeneità circostante sono luoghi unici: “Spesso non vi è neppure bisogno di una vera e propria teofania o ierofania: un segno qualsiasi è sufficiente a rivelare la sacralità di un luogo”. ( M. Eliade, Il sacro e il profano”, Torino 2006)
Penetrare nel varco, entrare nella caverna, è un atto sacro di conquista/conoscenza di uno spazio “altro”, diverso da quello che l’uomo frequenta, conosce ed utilizza in maniera funzionale alle sue esigenze di sopravvivenza: è l’atto simbolico effettuato in uno spazio simbolico, probabile origine dei successivi usi rituali.
Lo studio di Leroi-Gourhan (A.Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, Milano 1993) sulla disposizione ricorrente dei dipinti all’interno delle caverne mostra che già nel paleolitico esisteva una visione simbolica dello spazio, di cui l’uomo prese possesso gradatamente: 30.000 anni fa – nell’Aurignaziano- le prime raffigurazioni di animali, il c.d. stile I, sono state riscontrate solo su massi all’imbocco delle caverne, le figure dello stile II compaiono nella zona d’ingresso di qualche grotta, i recessi più profondi sono una conquista dello stile IV, da cui inizierà poi l’abbandono della pratica della raffigurazione parietale. La decorazione nelle zone prossime all’ingresso è comunque una costante che accompagna l’arte parietale dai suoi esordi fino alla scomparsa.