"Non c’è niente di meglio... che porre la questione della soglia"
Mi picchiettai le tempie con la punta delle dita come quando si sente una fitta o un dolore, spinsi indietro la testa e domandai, rivolto al prete: “S’incontrano delle soglie nella tradizione religiosa?” – “In quanto cosa o immagine?” – “Tutt’e due”.
Mentre il prete ci pensava su, gli altri si misero a dire quel che veniva loro in mente.
Il padrone di casa: “Il nostro gatto non passa mai una soglia senza fare attenzione. Tutte le volte si ferma e annusa per bene in terra. A volte evita persino di toccarla e salta. È solo quando scappa, mettiamo davanti a un cane, che non esita più davanti alla soglia: allora conta soltanto l’interno della casa. In cambio, però, è l’inseguitore che esita”. […]
Il pittore: “C’erano dei popoli antichi a tal punto nemici che l’uno, dopo aver sottomesso l’altro, riduceva in pezzetti le statue dei suoi templi per poi pavimentare le soglie delle proprie case. In certe civiltà si trovano disegni davanti alle soglie, a forma di labirinto; si dice che questi disegni dovevano meno respingere che far fermare e suggerire una deviazione…”. […]
Il prete si era intanto concentrato e disse: “Per quanto ne so, la soglia come cosa compare di rado nella tradizione. In un punto il profeta parla di uno scotimento che fece tremare persino la soglia di pietra. Come immagine, invece, si ripresenta frequentemente, anche se con un’altra parola. Negli indici analitici, accanto alla parola “soglia” si trova per lo più una freccia con l’indicazione: vedi porta. La soglia e la porta (o il portale) sono la parte per il tutto. Questo tutto, nell’Antico Testamento, è la città: talvolta semplicemente quella terrena – Piangi porta! Grida, città! – talaltra quella celeste: “Il Signore ama più le porte di Sion che tutte la tende di Giacobbe”; nel Nuovo Testamento talvolta c’è la dannazione – le porte dell’Inferno – talaltra la redenzione: “Io sono la porta. Chi entra per me, sarà salvo”. Di conseguenza, nella coscienza comune le soglie significano: passaggio da un ambito all’altro. E forse non siamo tanto consapevoli che la soglia è anche un ambito a sé, o meglio un luogo particolare, di prova o di protezione. […]. Per la scienza odierna, però, non esistono più soglie in questo senso. L’unica soglia che ancora ci resta, dice uno dei maestri del pensiero moderno, è quella tra la veglia e il sogno, e anch’essa è a malapena percepibile. […]. Soglia non significa affatto: confini – questi non farebbero che estendersi sia dall’esterno che dall’interno – ma zona. Nella parola “soglia” c’è mutamento, marea, guado, valico, recinto (inteso come rifugio). “La soglia è la sorgente”, secondo un detto ormai quasi scomparso. E quel maestro del pensiero dice testualmente: “Era dalle soglie che gli amanti e gli amici attingevano le loro forze. – Ma (prosegue) dove ritrovare al giorno d’oggi le soglie eliminate se non in se stessi? Veniamo guariti dalle nostre proprie ferite. Se dalle nuvole non nevica più, continuerà in me a nevicare”. Ogni passo, ogni sguardo, ogni gesto dovrebbe divenire cosciente di sé come una soglia possibile e ricreare in tal modo ciò che è perduto. […] - Le soglie come luoghi di forza non sembrerebbero dunque scomparse ma divenute, per così dire, portatili sotto forma di forze interiori. Coscienti di queste soglie, ciascuno lascerebbe l’altro morire almeno di morte naturale. La coscienza delle soglie sarebbe perciò la religione naturale. Altro non ci sarebbe da promettere”. […]
Ora, anche a quelli che ascoltavano tornò il ricordo delle cose da tanto tempo disperse nella memoria. L’uno riprese la parola dall’altro, sicché venne a crearsi un racconto a più voci. […]
“Le donne erano solite mettere una sedia sulla soglia e star lì a lavorare a maglia. Dalla soglia io contemplavo spesso i temporali e mi lasciavo sfiorare dalle gocce o da qualche chicco di grandine. […]. A Pasqua, con le grandi pulizie di casa, si lavavano per bene anche le soglie: fumavano di vapore caldo, si mostravano nel loro aspetto originario e sapevano di buono. A Pentecoste le soglie prendevano un’aria di festa, con gli alberelli di betulla ai lati. La soglia della stanza dei genitori mi sembrava particolarmente alta. […]. In caso di terremoto, dicevano in paese, non si doveva correr fuori, ma mettersi sulla soglia, sotto l’architrave della porta: là si era al sicuro. Anche “sradicare” per me rientra nella “soglia”; perché in casa il legno della soglia era quello che bisognava sostituire più spesso; ed era anche lì che il fungo del legname attecchiva per primo. Le soglie assumono la loro evidenza solo in campagna; in città le si dimentica. […]. “La soglia è il mio luogo”, pensavo restandoci sopra fermo. […]. Qual è il contrario di paura delle soglie? – Felicità d’indugiare ai margini”.
Ci si rivolse a colui che aveva tirato in ballo la questione, chiedendo se avesse voluto “testare” la compagnia. E la sua risposta fu: no, non testare, ma portare a raccontare. “Ho infatti notato che non c’è niente di meglio, per portare gli altri a raccontare, che porre la questione della soglia”.
(Peter Handke, Il cinese del dolore, pp. 77-83)
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