Il Segreto della Soglia
Diario di una Ricerca Antropoarcheologica sul Simbolismo della Porta
13 ottobre 2015
30 novembre 2010
04 ottobre 2010
"Cuccù!"

In Italia la produzione di fischietti di terracotta tra Medioevo e Rinascimento è caratterizzata da un ricco repertorio iconografico che propone spesso figure zoomorfe. Molto diffusi sono i fischietti globulari a forma di uccello la cui coda costituisce il beccuccio, mentre la cavità del risonatore, oltre al foro dell’imboccatura, presenta spesso uno o due fori digitali per la modulazione del suono.
I fischietti globulari, insieme a quelli ad acqua, nei quali il gorgoglio provocato dall’aria soffiata all’interno della cavità riempita d’acqua emette una sonorità simile al verso degli uccelli, erano probabilmente utilizzati come richiamo da caccia e proprio per il suono emesso erano chiamati cucù, usignoli, rossignoli. Anche il repertorio iconografico attinge spesso al tema dei volatili, tema che in ambito folclorico assume un significato propiziatorio connesso alla primavera, stagione del canto di corteggiamento degli uccelli, alla fertilità, alla rinascita.
A Matera ancora oggi esiste una ricca produzione artistica di fischietti in terracotta, ad acqua e non, chiamati “frischitti” o “cuccù”, souvenirs molto ricercati che è possibile acquistare nelle tante botteghe sparse nei Sassi, dove si può assistere a tutte le fasi della lavorazione, dalla modellazione nella creta, alla cottura, alla coloritura. Gli artigiani raccontano volentieri la storia dei cucù, il loro valore scaramantico, che li voleva murati nella cappa del camino -vulnerabile punto di contatto con l'esterno- o posti sulle culle dei neonati non ancora battezzati per allontanare gli spiriti maligni. I figli maschi ne ricevevano uno in dono in tenera età come augurio di futura felicità. La principale occasione di acquisto era rappresentata dal giorno di Pasquetta o, nel mese di maggio, durante la festa della Madonna di Piacciano, quando i fornaciari portavano, nei luoghi più frequenatati in quei giorni, ceste traboccanti di fischietti variopinti, che avevano modellato e decorato utilizzando calce per il fondo e terre colorate per le rifiniture. Un’altra tradizione vuole il fischietto come pegno d'amore: regalato all'amata dal suo promesso sposo, il “Cuccù” misurava la grandezza della passione, più era decorato, con fiori, frutta ed altri uccellini, più grande e potente era la promessa d'amore.
P.S. I cuccù in foto sono stati realizzati dalla ceramista Maria Bruna Festa di Matera.
22 luglio 2010
Il cuore sul trullo

“Tali elementi, come hanno dimostrato alcuni recenti studi, sono dovuti ai rapporti culturali e religiosi intercorsi tra l’Italia e l’Oriente nei primi anni del Cristianesimo. Identici simboli, presenti in ossari egizi e palestinesi e in catacombe romane costituiscono una conferma della loro origine palestinese o cristiano-giudaica o ellenistico-cristiana. Questi simboli, dalla primitiva origine pagana o giudaica, sono stati rielaborati successivamente in senso cristiano e approdano in Puglia attraverso l’arrivo di monaci ed eremiti provenienti dall’Oriente. La Puglia, infatti, ancora oggi è, ma è stata soprattutto in passato, un ponte tra l’Oriente e l’Occidente, terra di passaggio sia per i pellegrini che si recavano da Roma verso la Terrasanta che per i monaci diretti dall’Oriente verso Roma; basti pensare agli eremiti e monaci orientali e alle innumerevoli chiese rupestri presenti in Puglia”
Alcuni simboli, che vengono catalogati come primitivi, sembrerebbero collegati ai culti druidici che si celebravano nei boschi pugliesi e sulle Murge. Tra i segni magici presenti sui trulli rientrano quelli zodiacali, planetari e astrologici. Alcuni simboli religiosi richiamano esplicitamente la religione cristiana: il monogramma di Gesù, la Croce, che è il simbolo più ricorrente in differenti versioni, il cuore trafitto della Madonna, l’alfa e l’omega, il calice, i segni della Passione, un angelo, una spiga di grano, un grappolo d’uva, una stella. Sui trulli sono presenti anche animali e piante: cavallo, bue, gallo, aquila, serpente, il vaso di fiori, la spiga di grano, il giglio, l’albero -portatore di una enorme quantità di significati- con i rami rivolti verso l’alto o verso il basso, la pianta del trifoglio…
“Sarebbe opportuno -conclude Giannini- effettuare un censimento per conoscerne l’entità delle presenze di trulli nel nostro territorio e salvaguardarne l’integrità per consegnare alle generazioni future un bene architettonico e culturale che nel 1996 è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’umanità. Anche gli organi istituzionali, attraverso la Formazione Professionale negli anni scorsi hanno organizzato corsi per restauratori di trulli, visto che i vecchi trullari stavano per scomparire e, con loro, anche un mestiere che si perdeva nella notte dei tempi.”
05 giugno 2010
Oggetti mutanti
Anelli, tappeti, lacrime, bastoni, pentolini, rocce, alberi, specchi, zucche con caratteristiche diverse da quelle connaturate, acquisito cioè il requisito della straordinarietà, diventano chiavi magiche che riescono a spalancare porte altrimenti inaccessibili…
Il fascino dell’oggetto mutante che riesce a diventare “altro” al momento giusto è un po’ quello del coltellino svizzero, della posata pieghevole, della trousse da trucco, del kit multifunzione in genere.
E’ anche il fascino dell’Iphone. Ad esempio il mio, qualche giorno fa si è improvvisamente trasformato in una macchina lomografica… ed un fenomeno fotografico che non conoscevo è entrato prepotentemente a far parte delle mie passioni…
26 aprile 2010
La Società del Sette

Molti siti in rete riportano lo stesso lungo e dettagliato brano che racconta di un “Grand'Uomo” che attraverso un potere occulto tenne in pugno la popolazione di Abbadia Isola barattando guarigioni miracolose e interventi sulla meteorologia con l’appartenenza incondizionata alla "setta" di cui era a capo insieme ad un piccolo gruppo di fidati collaboratori.
Il racconto parla di contadini miseri e creduloni che sembrano corrispondere più ad un topos di narrativa medievale che alla reale condizione della mezzadria toscana tra il 1900 ed il 1945 e mentre in un primo momento sembrerebbe non esserci traccia di fonti, citazioni, indagini o interviste condotte sul campo, cercando più attentamente si scopre invece che sul finire degli anni 80, Massimo Biliorsi nel suo “Al di là di Siena”, IFI 1988, ha cercato di ricostruire tutta la storia del misterioso santone, aiutato da persone del posto che ricordavano benissimo gli eventi.
“La setta aveva il nome di Società del Sette" -racconta Frustone utente del forum Natura Mediterraneo, citando Biliorsi- "dal nome del rituale che prevedeva il passaggio attraverso sette porte disseminate in un lungo percorso che iniziava poco fuori Pian del Lago per poi salire nelle selve del Montemaggio. Sei porte ci sono anche oggi, alcune veramente mal conservate…alcune guardano pascoli e boschi senza avere ne’ a destra ne’ a sinistra mura o muretti”.
Si trattava di varchi da attraversare, passaggi simbolici di un itinerario rituale che gli adepti percorrevano, cantando in processione, durante le notti di luna nuova, incappucciati e portando torce e candele, accompagnati da una donna gravida e tre coppie di adolescenti. Si dice che ogni porta recasse scritta, in uno strano alfabeto, l’indicazione per raggiungere quella successiva e via, via verso la settima, una sorta di “stargate”, il luogo che avrebbe condotto gli adepti alla “verità”.
Nei boschi del Montemaggio è possibile incontrare realmente sei delle sette porte citate, ma dopo la sesta il sentiero che le attraversa tutte sparisce, inquietante, nel nulla…
11 marzo 2010
Una piccola porta

Chi passava sotto quella piccola porta? Chi si segnava attingendo l’acqua benedetta da una acquasantiera riservata? Come ben sapete l’analisi stratigrafica di un ricordo è enormemente facilitata dalla rete. Ebbene, dopo solo qualche minuto di tentativi, ecco materalizzarsi nella nebbia sagome furtive che si inchinano goffamente per passare sotto quelle porte troppo basse per consentire un accesso decoroso. Teste chine sotto l’onta di un cappello fregiato da un ridicolo nastro rosso spalle curve per tentare di nascondere a se stessi l’orrenda zampa d’anatra vermiglia attaccata alle vesti: i Cagots entrano in chiesa in silenzio, sono uomini, donne, bambini, si dispongono in silenzio in fondo alle navate laterali. Sono molti, costretti a subire il disprezzo e l’offesa, in nome di una discriminazione infondata che li vuole discendenti dai “Cani Goti” o dai Saraceni, costretti a preannunciare il loro arrivo suonando nacchere o castagnette come i lebbrosi, isolati dal resto della popolazione che li evita al punto tale da non avere descrizioni certe del loro aspetto fisico: “Erano alti, biondi e con gli occhi azzurri… ma no erano piccoli e scuri”…. “avevano mani e piedi palmati, emanavano un fetore insopportabile...”
In confronto al trattamento loro riservato, la condizione degli Ebrei era invidiabile. Vivevano ai margini della comunità, non avevano un nome, ma solo il prenome seguito dalla parola “Cagots”, potevano sposarsi solo tra di loro e quando morivano erano seppelliti in terra sconsacrata, sulle porte delle loro abitazioni spesso era scolpita una testa d’uomo, deforme, la stessa che si trovava sulle loro acquasantiere, che spesso però erano conche o trogoli di legno.
Una storia di soprusi e lotte, che dal 1360, epoca in cui già esistono notizie delle vessazioni cui erano sottoposti, arriva addirittura al 1844, quando, in barba all’uguaglianza e alla dignità restituite loro dalla Rivoluzione Francese, i Cagots erano ancora costretti, nella bassa Navarra, a subire umiliazioni e vessazioni. Molte comunità hanno cercato di cancellare l’onta di un passato tanto buio, scalpellando via le effigi da architravi e acquasantiere e murando, inutilmente, le piccole porte che sussurrano ancora la storia dei Cagots…
(La sitografia e la bibliografia sono vastissime, a me è parso molto interessante Ulysse Robert, I segni d'infamia nel Medioevo, a cura di Silvana Arcuti, Rubbettino 2000 )
14 febbraio 2010
04 febbraio 2010
Paraklausithyron
Ho tracannato un intero orcio di vino fino al fondo
Ed ora con la cetra, canto una serenata alla mia bimba.
Ma è l’immortale comicità di Plauto, nel Curculio, che riesce ad arricchire la scena di due personaggi inaspettati: due pigri chiavistelli sordi alle suppliche del povero innamorato che, pazzo d’amore, li implora come fossero esseri animati, di saltare via per lasciare che la porta della bella e crudele amata si apra.
Si tratta della nota “Serenata ai Pessuli” del Curculio, atto I scena III, che traduco liberamente:
Pessuli, heus, pessuli, vos saluto lubens,
vos amo, vos volo, vos peto atque obsecro:
gerite amanti mihi morem, amoenissumi,
fite causa mea ludii barbari.
Sussilite, obsecro, et mittite istanc foras,
quae mihi misero amanti ebibit sanguinem.
Hoc vide, ut dormiunt pessuli pessumi,
nec mea gratia commovent se ocius!
Chiavistelli, o Chiavistelli, vi saluto festante,
vi amo, vi bramo, vi prego e vi supplico,
soccorrete al mio amore, o dolcissimi,
diventate per me saltellanti ballerini!
colei che a me, disperatamente innamorato, sta succhiando la vita!
Ma guardali come dormono, Chiavistelli Cattivelli,
non ci pensano proprio a smuoversi per me!
Dunque, altre “presenze” ad affollare il popoloso mondo della soglia….
05 gennaio 2010
For ever in delight

08 dicembre 2009
Porte sbarrate
In una di queste preghere-scongiuro, la madre rincuora così la figlia:
“Duormi, figlia, ed arriposa/ nun ti spagnari di nessuna cosa/ darrieri la porta mia/ cc’è lu mantu di Maria/ e lu vastuni di San Giseppi./ Cu’ avi a fari mali a mia/ nun pozza asciari né porta e mancu via.”
In un’altra versione è il bastone di San Simone ad agire, cavando gli occhi ai “mali persuni”:
“Chiuju ‘a porta mia cu lu mantu di Maria/Gran Signura Maria, cu ha a fari mali a mia/ ‘un pozza truvari né alica né valia/ San Simuni cu lu so’ vastuni cci scippa l’occhi a li mali persuni.”
C’è sicuramente una relazione stretta con l’uso romano di età arcaica di tenere in prossimità della porta, a protezione dagli spiriti malvagi, tre oggetti-feticcio: la scure, il pestello, e la scopa (vedi post del 18/11/2006) che nella continuità cristianizzata della pratica diventa il bastone del santo.
16 novembre 2009
Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo.
E così ho oltrepassato un'altra soglia. Da oggi sono entrata nella terra dell'etnografia ed etnomuseologia italiana. Sarà una regione? Uno stato? Un continente? Speriamo non sia un'isola...
03 novembre 2009
Claude Levy-Strauss. 1908-2009

“…il mestiere di etnologo mi ha insegnato progressivamente a pensare non in termini di decenni, e neppure di secoli, ma di millenni, anzi, di decine di millenni, dunque quando parlo di questo secolo penso che tra due o tremila anni non se ne saprà più nulla…Pensiamo a tante cose come importanti, ma se le collochiamo nel tempo scompaiono. Ciò non toglie che mi interessino.”
Claude Lévi-Strauss, 28 novembre 1908 – 30 ottobre 2009, Sagittario.
Tratto da Repubblica del 21 novembre 2008, “Un pomeriggio col professore”, di Bernardo Valli
30 ottobre 2009
Il punto zero delle porte

A dirlo era Robert Musil, nel1936.
Sicuramente non c’erano ancora i citofoni, tanto meno i videocitofoni, e probabilmente non c’erano ancora gli spioncini a lenti a consentire di vedere, non visti, la dimensione altra.
L’apertura delle porte con riconoscimento dell’impronta digitale non era riuscita a materializzarsi nemmeno nei sogni dei più fantasiosi individui dell’epoca… Musil non parlava della porta tagliafuoco, o della porta allarmata (orrendo neologismo), neppure di quella corrazzata … ma di una porta che “consiste in una cornice rettangolare di legno infissa nel muro alla quale è applicato un battente girevole”.
Ai nostri giorni quasi un oggetto d’antiquariato.
Battenti fatti “di noce o di quercia, come usava ancora poco tempo fa nelle case per bene” che, forse a causa di un karma negativo, degradano dalla loro funzione originaria di difendere e rappresentare la sacralità dello spazio domestico a quella di sportelli da dispensa dentro cucine trendy fotografate nei giornali di arredamento.
Di oggetti che perdono la loro funzione per assumerne un’altra, uscendo dalla quotidianità, dalle soffitte e poi, molto velocemente, anche dalla memoria ce ne sono una infinità…
Interessantissimo, a questo proposito, il progetto dell’IMC, istituto dei Musei Comunali di Sant’Arcangelo, “Oggetti obsoleti del contemporaneo”, che raccoglie la memoria di oggetti che stanno per arrivare al loro “punto zero”, ancora presenti nel nostro quotidiano ma ormai non più utilizzati nella loro funzione originaria , “prendono vie diverse: dai musei ai collezionisti, sepolti in cantina o definitivamente dissolti nel tempo e solo ricordati”…
25 settembre 2009
Liminalità creativa

Nadie abriere o cerrare alguna puerta
sin honrar la memoria del Bifronte,
que las preside. Abarco el horizonte
de inciertos mates y de tierra cierta.
Mis dos caras divisan el pasado
y el porvenir. Los veo y son iguales
los hierros, las discordias y los males
que Alguien pudo borrar y no ha borrado
ni borrará. Me faltan las dos manos
y soy de piedra inmóvil. No podría
precisar si contemplo una porfía
futura o la de ayeres hoy lejanos.
Veo mi ruina: la columna trunca
y las caras, que no se verán nunca.
Parla un busto di Giano (J. L. Borges, “La rosa profonda”, 1975)
Che nessuno apra o chiuda alcuna porta
Senza onorar la memoria del Bifronte,
Che le presiede. Abbraccio l’orizzonte
Dei mari incerti e della terra certa.
I miei due volti scorgono il passato
E il futuro. Li vedo e sono uguali
I ferri, le discordie e i molti mali
Che Chi poteva non ha mai annullato
Né annullerà. Mi mancano le mani
E sono pietra immobile. Non posso
Precisare se contemplo una lotta
Del futuro o degli ieri, oggi lontani.
Vedo la mia fine: la colonna tronca
E le facce, che giammai si vedranno.
14 agosto 2009
Nella "camera chiara"....

Più avanti scrive una nota su una foto scattata da Charles Clifford all'Alhambra di Granada nel 1854. Niente di monumentale, "Una vecchia casa, un portico in ombra, un tetto di tegole..." che se non fosse per quella "sbiadita decorazione araba" che si percepisce appena nella bifora e nell'ogiva dell'arco, potrebbe essere una vecchia casa di un borgo toscano o provenzale... Una fotografia antica che lo commuove "perchè, molto semplicemente, è là che vorrei vivere...io ho voglia di vivere là, in consonanza..."
Consonanza è un termine prettamente legato al mondo dei suoni, che qui, in un contesto che è invece incentrato sulle immagini, sul senso della vista, Barthes enfatizza con l'uso del corsivo, specificando poi che "tale consonanza non è mai soddisfatta dalla foto turistica".
Le fotografie di paesaggi, urbani o di campagna, devono essere "abitabili", suscitare in lui un "desiderio di abitazione", possedere una sonorità morbida e gradevole, che si diffonda da quegli "strati sottili" di cui sono fatte ad indicare che il varco è aperto alla realizzazione di un "desiderio di abitazione...fantasmatico" che "nasce da una sorta di veggenza che sembra portarmi avanti, verso un tempo utopico o riportarmi indietro, non so verso quale regione di me stesso: duplice movimento che Baudelaire ha cantato nell’ Invitation au voyage e nella Vie antérieure."
E' dunque una percezione estesa quella con cui Barthes coglie "l'essenza del paesaggio": ultra-grafia di luce e suono, premonizione e rammemorazione di "paesaggi prediletti" dove è come se fosse "sicuro di esserci già stato o di doverci andare".
15 luglio 2009
La porta di Lohapol

La città di Jodhpur, nel Rajasthan, fondata nel 1459 da Rao Jodha fu molto ricca grazie al commercio di oppio, legno di sandalo, datteri e rame. Il regno dei Rathore, cui apparteneva Rao Jodha, era anche chiamato Marwar, ovvero “Terra della Morte”, certo la Jodhpur attuale non conserva niente che ricordi la sua terribile fama, ma qualcosa di inquietante ancora c’è…
Il Meherangarh, tuttora gestito da maharaja di Jodhpur è una fortezza dalla formidabile struttura architettonica: l’accesso è consentito da ben sette porte, la Jayapol, costruita dal maharaja Man Singh nel 1806 dopo la vittoria riportata sugli eserciti di Jaipur e Bikaner, la Fatehpol, la Porta della Vittoria, eretta dal maharaja Ajit Singh per commemorare la sua vittoria sui Moghul. L’ultima porta è la Lohapol, la Porta di Ferro, accanto alla quale, appena dopo l'entrata, si notano le impronte rosse di una trentina di piccole mani: ricordo del “sati” delle vedove del maharaja Man Singh, che si gettarono sulla sua pira funerea nel 1843, dicono le guide locali che nessuna di loro emise neppure un gemito.
L’onore di una fortezza del Rajasthan non era rappresentato soltanto dagli assedi a cui resisteva, ma anche dal numero di sati avvenute nel momento nelle sconfitte. Prima di immolarsi le donne lasciavano l’impronta delle loro mani sulle mura della fortezza, dopo averle immerse nell’hennè rosso: quello che ai nostri occhi appare come il triste ricordo di decine di sfortunate spose-bambine è, in realtà, il modo in cui l’ultima porta del Meherangarh proclamava la sua inviolabilità.
Il rituale dell’autoimmolazione, la cui attestazione in India risale almeno al I secolo a.C., era assai diffuso e le impronte di mani, come quelle sulle mura del forte Jodhpur, indicavano dove le sati si sacrificavano dopo la morte in battaglia dei loro mariti.
I motivi profondi che sottendono al rituale sono ancora profondamente radicati in molte zone dell’India rurale e nel Rajasthan, attuale centro di culto della dea Sati Màtà. Dopo la proibizione inglese del 1829, la pratica del “suttee” cominciò a scomparire in tutta l’India, ma nel Rajasthan è continuata fino ad oggi in alcuni dei più remoti villaggi, dove ne sono stati registrati almeno 40 casi dalla proclamazione dell’indipendenza.
Nel 1987 il caso di Roop Kanwar, una studentessa universitaria diciottenne che si suicidò sulla pira del marito in abiti nuziali, scosse l'India con un duro dibattito. La ragazza aveva guidato il corteo funebre e si era seduta sulla pira con in grembo il capo del marito morto. La famiglia aveva acceso il fuoco di fronte a centinaia di spettatori e al termine aveva offerto alle ormai migliaia di presenti un banchetto in onore della nuova Sati Mata. Uno degli ultimi casi è avvenuto nel Maggio del 2005 in un villaggio dell' Uttar Pradesh. La donna aveva 70 anni e i figli assicurano di non essersi accorti di nulla. A Marzo dello stesso anno una folla immensa si era riunita nel distretto di Pali in Rajasthan dove si era sparsa la voce che un'altra donna stava per immolarsi sulla pira del marito. Dopo violenti scontri con le forze dell'ordine, la donna è stata arrestata.
15 giugno 2009
Larga è la foglia...

La nonna mi raccontava meravigliose favole, favole per me, giacché era della sua vita di bambina vissuta in collegio all’inizio del secolo che raccontava...ricordo alla perfezione le avventure, i particolari, i nomi, le atmosfere nella penombra della sua enorme stanza da letto, in un palazzo austero del centro di Roma, in certe sere d’estate che trascorrevo insieme a lei con la sensazione di vivere un’avventura esotica. Abituata ad un appartamento moderno arredato in puro stile svedese anni 60, percepivo quei soffitti altissimi, quei mobili imponenti, pieni di fiori, frutti e teste di leone come le quinte di un palcoscenico tra le quali comparivano dal buio improvvise figurette di bambine con polacchine e vestitini a quadri, colletti inamidati e capelli inanellati a rappresentare solo per me il racconto di quei capolavori di astuta ingenuità e di incosciente crudeltà di cui solo i bambini (le bambine…) sanno essere capaci.
Poi vinceva il sonno, le palpebre cominciavano a cedere, le immagini diventavano confuse…era il momento della “foglia”…lottavo con tutte le mie forze perché mia nonna non capisse che stavo sul punto di addormentarmi, perché non pronunciasse l’insesorabile …"Larga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia”
Quella “foglia larga” la odiavo con tutto il cuore. Ma poi che voleva dire? Improvvisamente vedevo le bimbette fin de siècle salutarmi con quella enorme foglia verde tra le mani, fare l’inchino e sgattaiolare ridendo dietro le quinte del mio teatro…"No, nonna non dirlo, continua a raccontare…” ma già lei mi dava la buonanotte e si allontanava nel buio…la misteriosa, enorme foglia aveva vinto ancora una volta…
Solo pochi giorni fa leggo in rete:“...si tratta di una trascrizione errata della parola soglia dovuta alla somiglianza tra la resa grafica in corsivo della s e quella della f…” e continuando a cercare noto anche che esiste una alternanza nel proverbio che a volte recita anche “Stretta è la foglia, larga la via…”
Incredibile!
Fin dall’infanzia una soglia disturbava i miei sonni….
05 giugno 2009
Soglie Templari. La Pieve di Sticciano

E' una chiesa del X secolo, situata in un borgo arroccato su un'altura della maremma toscana che guarda verso sud ovest la terra che degrada verso il mare.
Invito a leggere l'interessante articolo di Claudia Cinquemani Dragoni. Riassumo qualche cenno sul portale.
Al centro dell'architrave è incisa una croce patente, di cui solo due bracci sono biforcuti. Il lato destro presenta subito accanto un Fiore della Vita. E' una sorta di fiore del loto a sei petali. Lo si trova già in decorazioni egizie e nella civiltà di Ur, nella cultura Micenea, sui Calabash della Guinea, nell'antica Cina, tra i Celti, in monete ed altri oggetti etruschi e steli Fenicie, oltre che in altri esempi di scultura romanica. E' uno dei simboli più diffusi nelle chiese Templari. Tra queste il Duomo di Sovana, in una Pieve di Arcidosso ed a San Galgano.
Il lato sinistro dell'architrave è stranamente disadorno, asimmetrico. Riporta unicamente un motivo a zig-zag, il cui elemento è antichissimo, comparendo fin da terracotte dell'età del bronzo e nella cultura villanoviana, ma anche in Messico e tra i Dogon, in Egitto.
A lato dello stipite di sinistra sono incisi tre cerchi. In tutti è presente l'elemento della quaternità. Il primo è il fiore dell'Apocalisse, il secondo è un glifo della Terra, il terzo la Gerusalemme Celeste. Quando ho visitato il luogo, quest'ultimo simbolo era stato maldestramente coperto da un intervento di consolidamento.
E' interessante considerare che queste incisioni potrebbero aver avuto anche funzione pratica. Era infatti importante conoscere le fasi astrali per la realizzazione dell'opera e potevano essere usati come meridiane per l'orientamento verso la Terrasanta. Orientarsi nel cammino per Gerusalemme allo stesso modo che nel cammino verso il Divino.
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22 maggio 2009
La casa di Asterione (una casa senza porte)

figlio che si chiamò Asterione"
Apollodoro, Biblioteca, III, 1
So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole.
È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine.
E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n'è una simile.)
Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile. Un'altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D'altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.
La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi.
Certo, non mi mancano distrazioni. Come il montone che s'avventa, corro pei corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all'ombra di una cisterna e all'angolo d'un corridoio e giuoco a rimpiattino. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare l'addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte m'addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. Immagino ch'egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: "Adesso torniamo all'angolo di prima," o: "Adesso sbocchiamo in un altro cortile," o: "Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell'acqua," oppure: "Ora ti faccio vedere una cisterna che s'è riempita di sabbia," o anche: "Vedrai come si biforca la cantina." A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.
Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l'intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.
Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l'altro; senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d'uomo? O sarà come me?
Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
"Lo crederesti, Arianna?" disse Teseo. "Il Minotauro non s'è quasi difeso.
Jorge Luis Borges, L'aleph, Feltrinelli 1952 (... il libro più bello che ho ricevuto in regalo...)
10 maggio 2009
Porta e catenaccio sappiano...

15 aprile 2009
A guardia del mandala

02 aprile 2009
Etruscan places

Etichette: cultura popolare, passaggi, soglie
21 marzo 2009
Riti di primavera

17 febbraio 2009
"Timeo ianuas" (licenza carnascialesca)

Balzac pubblicò la Teoria dell’andatura in cinque puntate, fra l’agosto e il settembre del 1833, sulle pagine de “L’Europe Littéraire”.
Etichette: poesia
11 febbraio 2009
Soglie e simboli negli antichi calendari: Februarius
Il calendario romano di età romulea comprendeva solo 10 mesi: quattro (marzo, aprile, maggio e giugno) avevano nomi propri, mentre gli altri sei avevano nomi derivati dalla loro posizione (quintilis, sextilis, september, ecc.) probabilmente perché aggiunti in un secondo tempo ad una antichissima forma calendariale che computava solo i mesi primaverili, nota agli antichi presso gli Egiziani e gli Arcadi. L’anno romuleo, basato su mesi siderali, coincideva con il ciclo della gravidanza delle donne, che a sua volta coincideva con quello dei bovini e con il ciclo di maturazione del farro. A Numa viene tradizionalmente attribuita una riforma del calendario, che tra l’altro, vide l’inserimento dopo il mese di Dicembre di altri due periodi di circa 30 giorni, Ianuarius e Februarius. Benché siano i primi dieci mesi del calendario ad accogliere le feste più antiche, quelle in collocate nel più “moderno” Februarius rivestono particolare rilievo e costituiscono una preziosa testimonianza sulla necessità del rientro temporaneo dell’elemento caotico-primordiale all’interno dello spazio e del tempo organizzati e definiti.
Febbraio è il mese che realizza i presupposti del rinnovamento annuale, che si compirà con Marzo, primo mese del calendario, contenendo festività segnatamente riferite alla conclusione del ciclo temporale dell’anno. Nei riti annuali finalizzati alla “rigenerazione” compare la sospensione del tempo calendariale, essa corrisponde all’ apertura di un ciclo temporale mitico che, mediante lo svolgimento di riti particolari come l’estinzione dei fuochi, la fuga del re, il ritorno delle anime dei defunti, la licenza erotica, simula la regressione al Caos e consente all’uomo di liberarsi da quanto il tempo dell’anno trascorso ha logorato e di rigenerarsi con nuove energie.
La festa dei Lupercalia del 14 febbraio, dedicata a Fauno, oltre alla sua valenza purificatrice e di concessione della fecondità, possiede aspetti strettamente connessi al rientro momentaneo del caos, del disordine, dell’elemento irrazionale all’interno della città. Il sacerdozio dei Luperci, che esercitavano le loro funzioni per un solo giorno l’anno non ricoprendo nessuna altra funzione religiosa, è estremamente singolare e il carattere selvaggio del rituale è privo di ogni confronto: la nudità, la corsa sfrenata, il consumare gli exta sacrificali semicrudi, l’atto del colpire con fruste fatte con la pelle della capra sacrificata chiunque incontrassero (in modo particolare le donne che si offrivano spontaneamente ai colpi di frusta per propiziare la fecondità), sarebbero interpretabili secondo George Dumezil (G. Dumezil, Le problème de Centaures, Paris, 1929) come rappresentanti di un disordine demoniaco e brigantesco che ritualmente, alla fine di ogni anno, si contrapponeva all’ordine civile sotto l’egida di Fauno-Luperco che, come antenato dei Romani, aveva il suo posto d’onore nel mese in cui si onoravano gli antenati.
01 febbraio 2009
An angel passes
