Nella complessa concezione arcaica dello spazio il margine possiede una complessa specificità spaziale. Perfino il confine tra due territori, che la moderna cartografia ci ha abituato a concepire come una linea, nell’antichità era spazio: “Attualmente da noi un paese confina con un altro; ma non era così quando il suolo cristiano non costituiva che una parte dell’ Europa; intorno a questo territorio esisteva tutta una fascia neutra, divisa praticamente in sezioni, le marche. Esse si sono a poco a poco ritirate, e sono poi scomparse, ma il termine letterale di marca conservò il significato letterale di passaggio da un territorio a un altro attraverso una zona neutra. Le zone di questo ordine svolsero un ruolo importante nell’antichità classica, soprattutto in Grecia; esse erano luogo di mercato o di combattimento….costituite , di solito, da un deserto, da una palude e soprattutto da una foresta vergine in cui si può passare e cacciare in piena libertà”. (A. Van Gennep, I riti di passaggio, Torino 1981).
“Gli antichi greci gli avevano dato un nome –eschatia” propone C. Montepaone (in Lo spazio del margine, Roma, 1999) “una forma, una ritualità in termini di opposizione/relazione alla città. Lo avevano idealmente popolato di figure mitiche dalle caratteristiche significative (…), protagonisti sospesi in disagevoli ingorghi, dalla giovane età, dalle grandi confusioni (…) Lo avevano attribuito ad una categoria per antonomasia, le donne. Ad una condizione politica: i rivolgimenti interni, la stasis, caratterizzata da non continuità, squilibrio, eccesso.”
Il margine, dunque, come luogo ideale della trasformazione, oggettiva e metaforica, della crescita, dell’integrazione, della risoluzione di tensioni generazionali, politiche e sociali. Rappresentando la “liminalità” finalizzata all’integrazione sociale, funzione che si è conservata fino ai nostri giorni, la sintassi del margine si estende fino a comprendere oltre alla categoria dello spazio anche quella del tempo.
Etichette: antropologia, mitologia