Oltre la soglia. Smarrimento e conquista.
I Tin Dama della Nuova Guinea, pur abitando una zona completamente pianeggiante, ritengono che allontanarsi dal loro villaggio equivalga a percorrere un sentiero in discesa che termina in un buco profondo, Wòt Ne Na, sede di forze ambigue, lontane dal mondo della socialità, che possono risucchiare chi non sia protetto dagli opportuni rituali, cioè chi non sia pronto o comunque non autorizzato a superare il limite.
Culture appartenenti a spazi ed epoche diverse hanno ovunque e da sempre cercato di materializzare l’evento più temuto in cui incorre chi oltrepassi i confini senza le opportune precauzioni: incontrare l’ambiguità, essere in balia delle “presenze” di un luogo sconosciuto, sentire la tensione bipolare tra procedere e fermarsi, avere paura di andare alla deriva senza i punti di riferimento della consuetudine, del conosciuto. Perdersi.
Eppure proprio questo “perdersi” è conditio sine qua non per penetrare lo spazio, conoscerlo, per orientarsi in esso, per scoprire nuovi territori, conquistarli, colonizzare, fondare nuovi insediamenti. Trovarsi faccia a faccia con lo spazio esterno, neutralizzare la sua alterità, superare tutte le prove per riuscire ad addomesticarlo, a renderlo abitabile e propizio.
Dall’esperienza acquisita “oltre la soglia” ha origine la regalità primitiva: dalle bande di giovani coetanei la cui iniziazione consisteva proprio nell’allontanamento dai confini del proprio villaggio, nel “perdersi” in un mondo selvatico in cui si è costretti a sviluppare le capacità di ambientarsi, orientarsi, spostarsi, di prevalere su altri, divenendo predatori e razziatori. Come i re aborigeni del Lazio, come i nemorensi capi federali dei latini, come Saturno, fondatore di una mitica comunità sul Mons Saturnius (il Capitolium!), che come esule, latitante e straniero possiede tutte le caratteristiche del fondatore: arrivato esule nel Lazio, scacciato dal proprio regno è costretto a nascondersi. (E il Lazio dovrebbe il suo nome proprio al questo suo latere…) I primi re sembrano essere stati capi pastore allontanatisi dai loro territori alla ricerca di nuovi pascoli per le proprie tribù: è dalla necessarietà di questi spostamenti che trae origine la pratica del ver sacrum, prima, e poi delle iniziazioni giovanili, come quella descritta nella saga di Romolo e Remo.Eppure proprio questo “perdersi” è conditio sine qua non per penetrare lo spazio, conoscerlo, per orientarsi in esso, per scoprire nuovi territori, conquistarli, colonizzare, fondare nuovi insediamenti. Trovarsi faccia a faccia con lo spazio esterno, neutralizzare la sua alterità, superare tutte le prove per riuscire ad addomesticarlo, a renderlo abitabile e propizio.
L’emergere di un leader, a cui sono fedelissimi soprattutto i giovani provenienti da altri villaggi, un organizzatore, di alto lignaggio, un predestinato aspirante alla regalità, trasformerà l’operato della banda: dalle scorribande e dalle razzie di bestiame, attraverso il sovvertimento di situazioni preesistenti nasceranno nuove realtà socio-politiche, istituzioni, culti. Saranno fondate nuove città-stato e creati nuovi popoli.
1 Comments:
Se uscire dalla cerchia del "Mondo" è perdersi, lo è per giungere ad un nuovo trovarsi. "Fuori" è il luogo del disordine: "hic sunt leones". Per chi non perde mai l'orientamento, spostarsi è colonizzare, estendere i confini del proprio dominio. Si parte, come le romane legioni, portandosi dietro stradini e prostitute, mercanti e contadini, con l'intento di fare dei nuovi luoghi nient'altro che una provincia satellite del proprio mondo. Non ci si perde mai, né mai si accolgono le novità.
Se invece ci si perde, come è il viaggiatore ad essere perduto per il mondo, così è il vecchio mondo ad essere perso per quello. Solo in questo modo si potrà fare qualcosa di nuovo, cioè di diverso dal vecchio: infatti il viaggiatore reca con sé un bagaglio minimo che non viene meno collo svanire delle radici, ma che anzi permetterà la costruzione, la fondazione.
Tre, dunque, gli atteggiamenti verso il "fuori": non andarvi perché non c'è mondo, ordine, vita, che all'interno dei luoghi noti; oppure occuparlo di sé, non riconoscendo allo spazio che uno stato di accoglienza, mentre il mondo, in realtà, era già pienamente definito dai suoi abitanti; infine esserne simmetricamente occupati, facendo un po' quel che uno spermatozoo fa una volta giunto nell'ovulo: dar luogo ad una nuova esistenza.
Potremmo forse tripartire le culture umane in statiche, colonizzatrici e fecondatrici in base all'atteggiamento tenuto nei confronti del "fuori". Mentre però mi paiono molti gli esempi delle prime due, ho l'impressione che il terzo caso abbia più applicazione in casi personali, quasi che lo spostamento di gruppo in qualche modo impedisca un vero perdersi e conseguente riformarsi.
Non ho ancora considerato il ritornare. Si ritorna mai da un viaggio oltre la Soglia? E con quali esiti? Ci può essere un ritornare esistenziale, in cui si riprende il luogo occupato prima di partire, e si può rimanere per sempre segnati dal viaggio. Moltiplicando i due modi del tornare per i precedenti tre del partire, si possono immaginare sei umanità di risulta.
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