21 maggio 2008

Il gatto di Schrödinger


Nelle scienze MFN molti sono gli utilizzi del concetto di soglia. Uno dei più interessanti lo si scorge nell’ipotesi del gatto di Schrödinger. Si tratta sostanzialmente, detto in termini epistemici, di un paradosso utilizzato per dimostrare i limiti umani nella capacità di descrizione del mondo. Ovvero l’assenza di limiti.
La probabilità di vita del povero gatto è legata alla probabilità di decadimento dell’isotopo. Ciò è dovuto, tralaltro, al fatto che in fisica quantistica le particelle subatomiche possono darsi collocate contemporaneamente in più luoghi. Tra i vari motivi c'è il piccolo problema per cui non è possibile stabilirne allo stesso tempo la posizione e la velocità. E, se il luogo è topos, e se il topos è il momento di congiunzione dello spazio con il tempo tra loro interdipendenti – essendo, fin dal livello microscopico, destrutturato/delocalizzato lo spazio, allora è destrutturato/delocalizzato anche il tempo.
In effetti, sul fronte del continuum, potrebbero contemporaneamente esistere istanti differenti in cui la particella decade, ed il gatto è morto, o la particella non decade, ed il gatto è vivo. Per noi che osserviamo l’esperimento congelato nel momento della attuale dimensione, questi istanti coesistono. Solo aprendo la scatola, cioè restando fuori dal continuum, potremmo saperlo. E tuttavia, se fosse per Everett, potremmo constatare che l’evento considerato accade solo nel tempo Tqx e non in Tq1, Tq2 ecc… afferenti i diversi contemporanei e paralleli stati della materia/universo.
Ci piacciono molto i gatti, pertanto vogliamo continuare a pensare che la nostra piccola cavia sia viva. Ma per far ciò non dobbiamo valicare la soglia del pre-istante in cui l’osservazione singola è possibile poiché l’istante successivo sarebbe già possibilità di altro.
Il fattore di probabilità che il gatto sia vivo o morto, dunque, è perfettamente residente sul margine del tempo. Il gatto di Schrödinger vive sulla soglia. Esattamente come tutti noi.

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15 maggio 2008

Cronache dell'estrema soglia: l'aldilà a pedaggio.


L’antichissima usanza di deporre una moneta all’interno delle sepolture in prossimità della bocca o degli occhi del defunto è nota dalle fonti letterarie e dalle evidenze archeologiche. Nel mondo antico la deposizione dell’obolo era parte del rituale funerario, al punto tale che la sua mancanza costituiva una vera e propria eccezione: Strabone ricorda che tale usanza non era praticata ad Ermione, in Argolide, una delle porte di accesso agli Inferi da dove Eracle aveva riportato alla luce Cerbero, giustificando tale mancanza con la breve distanza del viaggio.
La religione cristiana proibiva tassativamente l’uso, che come gran parte delle cose proibite, continuò ad essere regolarmente praticato e lo è tuttora anche in Italia: ad esempio in val Curone e in valle Scrivia, in Piemonte, dove le donne mettono segretamente tre monete nelle tasche del morto, e proprio la segretezza del gesto ne conferma il suo carattere di rito tradizionale.
Sia esso moneta o simbolico pezzo di bronzo che ne fa la funzione, l'obolo che consente al morto di pagare il suo pedaggio per l’aldilà è un fatto razionale o irrazionale?
L'interrogativo potrebbe coinvolgere anche il ben più vasto e sorprendente ambito dei corredi tombali, dalle tomba a fossa alle piramidi e oltre, ma investirebbe però anche l’aspetto ostentativo che nel caso dell’obolo è invece irrilevante.
E' lecito chiedersi se la decisione di stanziare un obolo per avere accesso ad un bene limitato -l’opportunità offerta o negata da Caronte di traghettare il defunto oltre la soglia dell’aldilà- possa rappresentare un atto estremamente razionale conseguente ad una approfondita analisi costi/benefici, che valuta il prezzo da attribuire al rischio che un’anima non traghettata possa tornare nel mondo dei vivi con tutte le terribili conseguenze che diverse culture in diversi orizzonti spazio-temporali hanno attribuito a questa evenienza?

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12 maggio 2008

Le porte dei granai Dogon


A un gomito del sentiero, ci si trovava davanti a una porta tagliata con l'accetta, che, anche se fosse stata nuova, non avrebbe potuto ostruire l'entrata segnata da due piloni di terra e da un frontone di ceppi. Una porta larga come due spalle, con le venature del legno scavate dalle piogge invernali e simili a onde nelle quali i nodi si spalancavano come occhi. La siccità, le mani che vi si erano aggrappate, i musi delle capre avevano consumato il battente che strideva sul suo perno e sbatteva contro il muro con un rumore di gong, scoprendo il cortile miserabile… Una facciata a cellette, forata al piano terreno da una porta bassa e, al primo piano, da un adito schiacciato, si drizzava al centro del cortile, nascondendo l'edificio principale. Sul frontone si aprivano dieci nicchie per le rondini; otto coni coperti da pietre piatte ornavano lo spigolo. A destra e a sinistra, simili a dadi giganteschi, si allineavano sei granai, due dei quali…mostravano la facciata posteriore. Delle quattro costruzioni, una era vuota, un'altra sconnessa, la terza squarciata di traverso come un frutto morsicato. Una sola sopravviveva, piena a metà di semi. Di fronte, tra l'edificio principale e i granai, una casa bassa chiudeva il cortile, smorzando il lieve rumore della vita.” (Marcel Griaule, Dio d’acqua, Garzanti, Milano, 1972, pagg. 19-24)

Il rapporto esemplare che l’uomo ha stabilito tra il mistero della vita e quello della germinazione è cosa nota. Tra i Dogon del Mali l’evidenza di questa connessione è evidente dalla pianta dei villaggi. Costituiti in apparenza da un disordinato insieme di capanne di fango dal tetto appuntito legate da una sottile ragnatela di viottoli appena percettibili, i villaggi seguono in realtà una disposizione ben precisa che disegna simbolicamente il corpo umano: la testa è il togu-nà, la “casa della parola”, dove si riuniscono gli anziani per le decisioni più importanti, le mani sono rappresentate dalle case delle donne mestruale, situate ai due estremi del villaggio, in basso c'è l'altare, dalla caratteristica forma fallica, il torace, che risuona per il battito delle mole da grano, è rappresentato dalle case costruite e dai granai. Il granaio è nel mondo Dogon un simbolo molto potente. Esso rappresenta l’arca, il cesto rotondo utilizzato dagli antenati primordiali, gli otto Nommo, per portare giù in terra tutto ciò che gli uomini utilizzarono per la germinazione della vita. Il prezioso contenuto dei granai, (quello dell’Hogon, il sommo sacerdote contiene il miglio usato per i riti propiziatori della fertilità) è affidato alla tutela delle porte riccamente scolpite e dei chiavistelli che ne rimarcano, con la sola loro presenza, l’inviolabilità.

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