Riti di primavera
Credendo erroneamente che l’aspetto rituale fosse in aperto contrasto con ogni categoria connessa alla “modernità” si è, per un lungo periodo, considerato il rito come elemento eminentemente tradizionale e quindi opposto ed estraneo alla configurazione mentale dell’uomo moderno, in una logica dicotomica che opponeva tradizione a modernizzazione.
Ma non è solo per le intuizioni di grandi studiosi del comportamento umano e della psiche – Freud e Jung in testa –che si è compreso come le società contemporanee, in realtà, abbiano vissuto una revitalizzazione delle pratiche simbolico-rituali causata dal bisogno di identità e senso di appartenenza che proprio la modernizzazione aveva indotto: di fatto i comportamenti simbolico-rituali moderni agiscono sulla personalità e condizionano le dinamiche dei ruoli e degli status sociali. E’ altresì evidente che tale funzione del rito esula totalmente dalla spiccata connotazione sacrale propria del passato, per approdare ad una funzione prevalentemente conservativa, che svela al singolo il significato degli eventi sociali e fornisce al gruppo uno strumento per la conservazione ed il mantenimento dell’identità sociale. Strumento delicato e pericoloso se, oltre alla funzione di mantenimento dell’ identità sociale, viene ulteriormente manipolato per creare modelli di riferimento stereotipati, identità collettive che attraverso “ritus-simbol” basati prevalentemente sui consumi di massa, garantiscono l’immediato riconoscimento dell’appartenenza ad un gruppo sociale.
La strumentalizzazione commerciale e senza scrupoli del rito è, purtroppo, una miniera inesauribile: l’uomo moderno, forse più di quello antico, inventa continuamente, spinto da un principio molto simile a quello che Lévi-Strauss chiamò” principio di sostituzione”, modalità comportamentali funzionali alla facilitazione dei rapporti sociali: non appena un ingrediente del processo manca, lo si sostituisce con un altro simile. La tradizione non è poi così conservativa come la si suppone, ma possiede margini sorprendentemente elastici. La ritualizzazione della vita quotidiana, le regole volte a definire i rapporti individuali sono il fondamento della socialità collettiva e, tanto più questa strumentalizza i comportamenti rituali svuotandoli dei loro significati originari, tanto più quegli stessi significati originari emergono di nuovo, ad un livello minore, cioè quello della socialità primaria, dando origine a nuovi comportamenti rituali, prontamente captati dal sistema capitalistico, che li inserisce immediatamente in sistemi di consumo basati essenzialmente sulla necessità degli individui di essere rappresentati socialmente da quello che si ”possiede” e non più da quello che si “è”.
Antropologi, etnologi, sociologi, psicologi, che conoscono profondamente i dispositivi simbolici basilari della vita sociale, possono portare alla luce molte dimensioni nascoste che sfuggono ai più, ma che sono invece attentamente analizzate da chi non solo riesce a trasformare la naturale tendenza alla ritualità in opportunità commerciale, ma addirittura a trasformare le tradizioni popolari più innocue in saghe violente di identità etniche nuove di zecca.