15 aprile 2009

A guardia del mandala


Nel "Libro tibetano dei morti", precisamente nel sesto giorno delle visioni delle divinità pacifiche, appaiono i quattro custodi del mandala. Sono divinità protettrici dall’indole semicollerica che sorvegliano l’accesso alle quattro porte del mandala ed alle relative quattro regioni cosmiche.
Le loro sembianze sono umane, il volto è adirato e posseggono il terzo occhio, l’occhio della conoscenza superiore: Vijaya è il custode bianco che sorveglia la porta orientale, unito in polarità tantrica alla sua consorte Vajrankusi: attributi di Vijaya sono una kapala ed una campana, Vajrankusi porta invece un uncino di ferro.
In corrispondenza della porta meridionale compare tra rosse fiamme, in piedi su un fiore di loto, l’adirato Yamantaka, di colore giallo con la sua compagna Vajrapasi: Yamantaka ha nelle mani un laccio e una campana.
La porta occidentale è custodita dalla coppia Hayagriva, il custode rosso, e Vajrasrnkala. Hayagriva ha una testa di cavallo tra i capelli e regge una catena di ferro, o una clava avvinghiata da serpenti e la campana. La coppia verde Amrtakundalin e Vajraghanta, sorveglia la porta settentrionale, armata di vajra a forma di croce e di campana.

Dettagli a parte, il Mandala è per me il più sofisticato sistema a livello simbolico creato dall'uomo per rappresentare la complessità del mondo e dell'universo intero.
C'e dentro il riferimento all'energia nelle quattro forme; c'è la trasformazione dell'energia in materia; ci sono gli elementi chimici; c'è la materia che evolve e diventa vita; c'è la struttura del dna; c'è la mappa del tempo; ci sono le epoche e le stagioni; ci sono le funzioni della mente; c'è come il pensiero diventa storia e come la storia diventa polvere; ci sono i complessi psicologici ed il loro divenire società; c'è lo specchio di ognuno; c'è l'esterno e c'è l'interno; c'è l'espansione dell'universo e la sua contrazione; c'è la creazione e l'entropia; c'è il principio e, contemporaneamente, la fine.

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02 aprile 2009

Etruscan places



“Oltrepassammo il ponte: in fondo al selciato, il muro basaltico del castello ci sbarrava il passo e la cavallina sembrava andare a sbatterci contro il muso. La stradicciola, tuttavia, girava a sinistra, passando sotto l’arco di una porta…Superammo di qualche metro il rudere e scendemmo su uno spiazzo erboso che si affacciava sul burrone.
Era un posto meravigliosamente romantico.
L’antico ponte innalzato per la prima volta dagli etruschi di Vulci in blocchi di tufo nerastro, si leva nell’aria strano e curvo come una bolla. Una quarantina di metri più sotto, in fondo al burrone pieno di rovi, scorre il torrente, mentre il ponte si staglia nel cielo come un solitario arcobaleno nero, con lo spicco di una forma perfetta da lungo tempo dimenticata…
Addossata al ponte da questo lato, c’è la nera costruzione del castello quasi tutto diroccato, con sterpaglie che spuntano fuori dagli spalti e dalla cima della torre…Tutto intorno c’è un senso di vuoto particolare…”

(D.H. Lawrence, Paesi etruschi, Nuova Immagine Editrice, Siena 1985)

Il ponte della Badia di Vulci è uno dei tanti “ponti del Diavolo” toponimo molto comune, come comune è la storia che per ciascuno di essi si racconta: costruttori di ponti o viandanti che per riuscire a superare l’ostacolo posto dal fiume, chiedono aiuto al diavolo. Il Diavolo accetta e chiede tradizionalmente in cambio l’anima della prima creatura che lo attraverserà, restando poi gabbato dall’astuzia dell’antagonista, spesso un santo, che sempre riesce a far traversare il ponte ad un cane, ad un gatto, o addirittura ad una forma di formaggio.
 
Si dice che il ponte di Vulci costò al diavolo tanta fatica da costringerlo ad asciugarsi il sudore con un fazzoletto che è rimasto là, racchiuso in una delle stalattiti pendenti ai lati del ponte stesso.

Le fonti più autorevoli sull’argomento sono Mircea Eliade (I Riti del costruire. Jaca Book, 1990) e Anita Seppilli (Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti, Sellerio 1977), ma,  solo per  appassionati di raffinata fantarcheologia rigorosamente made in Italy c'è anche dell'altro...


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