29 aprile 2008

Cronache dell’estrema soglia: il Mundus


La nozione di mundus è una delle più controverse della religione romana, con il termine mundus si indicava un varco che consentiva la comunicazione esclusivamente con il mondo infero, comunicazione non facile né auspicabile: “…porta dell’Orco, sinistro e orrendo” secondo Paolo Diacono, aprire il mundus significava spalancare le porte alle divinità infere: i giorni in cui la fossa veniva aperta, tre volte durante l’anno, il 28 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre, erano momenti di particolare vulnerabilità, quei giorni, dice Festo (p.273 L2.), venivano “…considerati religiosi per la seguente ragione…i nostri antenati vollero che non si compisse alcun atto ufficiale nel momento in cui i segreti della religione degli dei Mani erano per così dire portati alla luce e rivelati: in quei giorni dunque essi non attaccavano battaglia con i nemici, non mobilitavano truppe, non tenevano comizi, non si dedicavano ad alcuna attività ufficiale, se non in caso di estrema necessità”.
Il fatto che il mundus fosse considerato un passaggio, una porta è confermato da una frase di Varrone, conservata da Macrobio(1,16,18) che dice “ mundus cum patet, deorum tristium et inferum quasi ianua patet”, senza però menzionare cosa si mostri o accada dietro quella porta.

Il primo degli autori a descrivere il mundus è M. Porcio Catone Liciniano, citato da Festo, che ne parla come di un ambiente sotterraneo a forma di conca con un pavimento semicircolare coperto a volta, detto mundus perchè “riproducente alla rovescia la conca celeste che sembra sovrastarla” (D. Sabbatucci, La Religione di Roma Antica, Il Saggiatore, Milano, 1988).

Dunque una sorta di specchio, ma anche una porta attraverso la quale in Ovidio, fast. 2.47-556, i morti avrebbero potuto invadere la città dei vivi: “bustis exisse feruntur / et tacitae questi tempore noctis avi, / perque vias Urbis latosque ululasse per agros / deformes animas, volgus inane, ferunt.”.


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19 aprile 2008

La réponse imprèvue



"Occupiamoci ora della porta. La porta può aprirsi su un paesaggio visto alla rovescia. Il paesaggio può essere rappresentato sulla porta. Proviamo qualcosa di meno arbitrario: accanto alla porta pratichiamo un buco nel muro, che sarà anch'esso un'altra porta. Il riscontro sarà ancora maggiore se riduciamo questi due oggetti a uno solo...il buco si colloca dunque nel modo più naturale nella porta e attraverso questo buco vediamo l'oscurità"

R. Magritte, Conferenza di Londra, (1937) in Tutti gli scritti, a c. di A. Blavier, Mi 1979


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11 aprile 2008

Le porte dell'Arallu


Il nome della montagna è Mashu.
Appena egli giunse alla montagna Mashu:
- coloro che giornalmente sorvegliano l'uscita e l'entrata:

sopra di loro grava la volta celeste,
al di sotto l'Arallu tocca il loro petto -
uomini-scorpione stanno a guardia della sua porta,
la paura che essi incutono è enorme, nel loro sguardo c'è la morte,
il loro grande terrore riempie le montagne,
essi stanno a guardia del Sole nel suo sorgere
e nel suo tramontare.

Allorché Gilgamesh li vide, per la paura 
e
per il terrore il suo sguardo si annebbiò.

Egli si fece forza e si chinò davanti a loro.
L'uomo-scorpione si rivolge a sua moglie:
"Colui che è venuto da noi: il suo corpo è carne degli dei".
La moglie dell'uomo-scorpione gli risponde:
"Per due terzi egli è dio, per un terzo è uomo".

L'uomo-scorpione dice a Gilgamesh, progenie degli dei, rivolge la parola:
"Chi sei tu che hai percorso vie lontane,
hai girovagato, finché non sei giunto alla mia presenza,
attraversando con affanno persino correnti d'acqua travolgenti?
Vorrei volentieri sapere il perché del tuo viaggio;
colui verso il quale il tuo sguardo è rivolto,
[vorrei] volentieri conoscere".

...
Gilgamesh [ ]:
"Da Utnapishtim, mio antenato voglio recarmi;
colui che entrò nella schiera degli dei, che trovò la vita,
sulla vita e sulla morte voglio interrogare".


L'uomo-scorpione aprì la sua bocca e disse,
 così parlò a Gilgamesh [ ]:
"O Gilgamesh, a nessun uomo ciò è mai riuscito!
della montagna nessuno ha mai attraversato le sue viscere,
il suo cuore è buio per dodici doppie ore,
densa è l'oscurità, non vi è la luce!
Verso il sorgere del Sole [ ]
verso il tramonto [ ]
verso il tramonto [ ]
hanno fatto uscire [ ]"


...(parla Gilgamesh)
"I miei muscoli sono rigidi,
il mio volto, per il caldo e per il freddo, è livido,

per la fatica ho perduto le mie forze"
...


La saga di Gilgamesh, Giovanni Pettinato, Rusconi Libri 1992
con integrazioni e correzioni da
Il Ghilgames, Claudio Saporetti, Simonelli Editore 2001
The Epic of Gilgamesh - a new translation, Andrew George, Penguin Press 1999

A cura di Thomas Porzano

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04 aprile 2008

"Quel piede d'elfe sulla vostra soglia..."


MEFISTOFELE
E così, certo, raccapezzo poco.
Ciò che si oppone al nulla,
il qualcosa, questo goffo mondo,
per quante io ne abbia fatte,
non ho saputo venirne a capo:
tempeste, inondazioni, incendi, terremoti -
ma poi torna la calma sulla terra e sul mare!
E la dannata razza dei viventi,
siano uomini o bestie, non c'è verso di nuocerle.
Quanti ne ho già sepolti! E sempre circola
nuovo sangue, sangue giovane.
Di questo passo c'è da impazzire!
Dall'aria, dall'acqua, dalla terra
i germi si sprigionano a migliaia,
all'umido e all'asciutto, al caldo e al freddo!
Se non mi fossi riservato il fuoco,
non resterebbe un angolo per me.

FAUST
Tu dunque opponi alla forza sempre attiva
che crea e dà salvezza eternamente
il freddo pugno del demonio,
che invano perfido si serra!
Cercati altro da fare,
strano figlio del caos!

MEFISTOFELE
Su tutto questo ritorneremo
a meditare le volte prossime!
Per questa volta potrei allontanarmi?

FAUST
Non vedo perché tu me lo domandi.
Ora che ho fatto la tua conoscenza,
vieni a trovarmi quando vuoi.
Ecco qua la finestra, ecco la porta,
e se non basta la cappa del camino.

MEFISTOFELE
Un piccolo impedimento, lo confesso,
mi vieta ora di andarmene a spasso:
quel piede d'elfe sulla vostra soglia -

FAUST
Il pentagramma ti dà pensiero?
Ma dimmi allora, figlio dell'Inferno,
se questo ti respinge, com'è che sei entrato?
Come venne ingannato un tale spirito?

MEFISTOFELE
Guardate attentamente! Non è tracciato bene;
quell'angolo che dà verso l'esterno
è un poco aperto, come vedi.

FAUST
Che fortunata combinazione!
Saresti dunque mio prigioniero?
Ho fatto centro tirando a caso!

MEFISTOFELE
Non lo notò il barbone, quando saltò qui dentro;
ma per il diavolo le cose cambiano,
e adesso non può uscire dalla casa.

FAUST
Perché non te ne vai dalla finestra?

MEFISTOFELE
Hanno una legge i diavoli e gli spettri:
da dove sono entrati, di là devono andarsene.
Liberi a intrufolarci, siamo schiavi ad uscire.

(Johann Wolfgang Goethe, Faust, nella traduzione di Andrea Casalegno)

L'immagine è tratta dal sito visibilmente.com





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